di Gaia Agnelli - foto Fabio Voglioso

"Il Trullo": tra ricordi e degrado, viaggio nell'abbandonato lido barese del 1946
BARI – «Nonostante qui non ci sia più nulla, in tanti continuiamo a frequentare questo posto che è stato il simbolo delle nostre estati». Sono le parole di alcuni nostalgici affezionati dell’ex lido “Il Trullo”, stabilimento balneare fondato sul lungomare sud di Bari nel 1946, il cui nome rimanda alla tipica struttura pugliese che fa capolino al suo ingresso.

Un luogo che per decenni è stato un punto di riferimento dei baresi, perlopiù provenienti dal vicino centro città, che lo animavano tra mattinate al mare, serate a ritmo di musica e cene nel suo ristorante vista Adriatico. Una bellissima storia messa in pausa nel 2021, quando il Comune ha revocato agli storici gestori la concessione demaniale per debiti con l'Erario.

Da quel momento il luogo è precipitato nell’oblìo (così come il non lontano lido della Polizia), mimetizzandosi in una zona già in degrado. Un peccato se si considera che si tratta dell’unico lido ad accesso pubblico esistente sul litorale sud di Bari.

Anche se il libro dell’abbandono potrebbe voltare pagina. La Conferenza di servizi Puglia sta infatti esaminando il progetto della società Zen di Gallipoli, che dopo aver vinto una gara vorrebbe ristrutturare lo stabilimento trasformandolo in una struttura con pedane in legno, bar, ristorante, solarium e area giochi.

In attesa di conoscere il futuro della spiaggia, siamo andati a visitarla (vedi foto galleria).

Per raggiungerla percorriamo il lungomare sud di Bari fermandoci nel punto in cui la strada da via Di Cagno Abbrescia cambia nome in via Alfredo Giovine. A suggerirci la presenza del lido è un vero e proprio trullo che si fa spazio tra le sterpaglie di una grande aria incolta percorsa da un viottolo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci avviciniamo alla conica struttura in pietra, che a luglio del 2023 è stata vittima di un incendio che l’ha messa definitivamente ko. Oggi è diventata praticamente una discarica di rifiuti, ma un tempo fungeva da “cabina” privata del custode del lido e da deposito per le attrezzature balneari. In alto resiste l’insegna con la scritta in corsivo “lido il trullo”, la cui “o” finale è sostituita da un sole. 

Ci dirigiamo ora verso l’entrata dello stabilimento, oltrepassando una marea di preservativi gettati per terra: segno che il posto è utilizzato come alcova per le prostitute attive sul lungomare. Sui muri esterni leggiamo è affissa ancora una targa blu i cui caratteri rendono visibili le tariffe del parcheggio: un euro per le auto e cinquanta centesimi per le moto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Entriamo quindi nel lido varcando un cancello divorato dalla ruggine, affiancato dalla finestrella della reception. Ci ritroviamo così all’inizio di una terrazza delimitata da un muretto fatto di ciottoli in cui sono incastonati dei disegni su ceramica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Subito a destra veniamo “accolti” da un locale dal tetto pericolante che ospitava gli uffici. Lo si intuisce dal tabellone con su segnati i numeri delle oltre cento cabine, da una chiave ancora eroicamente appesa a un chiodo arrugginito e da un armadietto “cassaforte”. L’adiacente stanzetta serviva invece come infermeria, come suggerisce ciò che rimane delle cassette rosse del pronto soccorso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Da qua possiamo andare verso destra o verso sinistra. Scegliamo di continuare a camminare sulla terrazza spostandoci verso il braccio nord del lido e seguendo un corridoio costeggiato da un parapetto su cui sopravvivono delle piante grasse. Su una parete si trova invece una bacheca vuota che un tempo elencava gli eventi in programma.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Giungiamo in un ampio spiazzo che ospita una trentina di cabine poste in fila indiana, dalle pareti celesti e con le porte ormai divelte. Dietro le quali si intravede la punta del trullo, il cui nome troviamo composto su una parete fatta di sassolini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Qui incontriamo un anziano signore che sta ammirando l’orizzonte. «Ogni mattina vengo per osservare la cabina che prendevo sempre con mia moglie Rachele - confessa il 90enne Michele –. È venuta a mancare qualche mese fa e venire nel posto che amava mi fa sentire più vicino a lei. La nostra zona era quella di giù, dove le cabine erano più grandi e a pochi passi dal mare. Nonostante l’assenza delle porte, su una c’è ancora un lucchetto: mi piace pensare che sia il nostro. Mia moglie adorava venire al Trullo: passava anche semplicemente per prendere un caffè con le amiche. Ogni volta che ci vengo, aiutato dal silenzio, riesco a sentire ancora la sua risata».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Toccati dalla nostalgica testimonianza di Michele, continuiamo a perlustrare lo stabilimento. Scendiamo così delle scale con piastrelle disegnate che ci conducono nella zona inferiore. Qua si trova una banchina che conserva ancora qualche base di ombrellone e che ospita altre sette cabine oltre ad altre probabilmente utilizzate dai bagnini. Al loro interno troviamo ciò che resta di alcuni cartelloni su cui erano riportati i costi di ombrelloni, lettini e docce.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Percorrendo altre scalette risaliamo per andare a visitare il braccio sud del lido. Superiamo una fontanella che serviva per sciacquare i piedi e ci ritroviamo su una terrazza parzialmente crollata che rappresentava il cuore dello stabilimento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dinanzi alle cabine trovavano infatti posto sdraio, lettini e ombrelloni che di sera diventavano protagonisti dell’area relax tra divanetti, panche e lucine. Ed era sempre in quest’area che si trovavano il ristorante e il bar vista Adriatico, dove tavolini, sgabelli e lanterne che rendevano la cena magica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Tra eventi e jukebox, si tenevano feste ogni sera – ricorda il 55enne Mimmo–. E come dimenticare la sala giochi, adiacente al ristorante, dove c’era il calcio balilla che intratteneva i ragazzi. I più piccoli poi non si facevano mai mancavano le bancarelle, che improvvisavano proprio sulla terrazza per vendere figurine, braccialetti e cassette».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Oggi i locali interni del ristorante sono pericolanti, le pareti interne sono imbrattate dai writers e sul pavimento ci sono solo macerie con i tavoli in legno ridotti a brandelli. La cucina poi versa in condizioni ancora peggiori. L’area cottura è completamente distrutta, le credenze vuote “affacciano” su un pavimento di rifiuti e di piatti in ceramica rotti in mille pezzi. Sono sopravvissuti però alcuni fogli del menù “ristobraceria”, tra bevande, frutta, secondi e carta dei vini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La terrazza, che ospita un’altra fila di cabine, degrada verso l’Adriatico, lì dove è presente l’accesso principale al mare. Si tratta di uno scivolo che serviva sia come discesa in acqua per i pedalò, sia come ingresso facilitato per i bagnanti che potevano servirsi anche di una piccola passerella non più esistente. Per tuffarsi così da una costa scogliosa, senza sabbia, ma “profumata” e lambita da un’acqua dai riflessi verdi e blu. 

Affacciato sul mare si trova anche una sorta di “solarium” piastrellato, dove ci imbattiamo in una coppia di bagnanti con ombrellone e sdraio. «Continuiamo a frequentare il lido, anche se non c’è più nulla - spiega il 63enne Francesco –. E ci posizioniamo sempre in questo punto. Accanto si trova ancora una scaletta che permette di entrare direttamente in mare. Siamo legati a questo posto, sperando che un giorno possa ritornare ai fasti di un tempo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)

Il video del nostro viaggio all'interno dell'ex Lido Trullo:



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Gaia Agnelli
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Fabio Voglioso
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  • VITO PETINO - IO E IL TRULLO Quella mattina di fine aprile non è che si avesse molta voglia di entrare a scuola, e la poca che si ebbe fu subito vinta da un sole caldo e un cielo limpidissimo. Cercai di influenzare quanti più compagni tentennanti, ma il grosso della classe si spinse mogio e a capo ciondolante a terra nell’aula. Restammo in dieci. Tre al suono della campanella si aggregarono agli sconfitti, uno li seguì dopo pochi secondi, altri due li convinsi a farmi compagnia, dicendo di come il mare sarebbe stato fantastico; ne restavano tre fermi con lo sguardo che pendolava da noi all’ingresso della scuola. Ricorsi, da ragazzaccio di strada, all’unico motivo per cui sarebbero stati attratti dal nostro gruppo di vacanzieri scolastici. “E se proprio oggi vi interrogano?” Come tre saette si unirono a noi. Con me ce n’erano due, Gentilli e Adda, dei cinque che a febbraio facemmo ics per andarcene nel Lido Marzulli al caldissimo sole di quell’inverno ormai alla fine, calandoci per pochi secondi in un mare cristallino che ci paralizzò tanto l’acqua era fredda. I tre nuovi erano le saette dell'interrogazione evitata, Iacobellis, Mari e Ciccinelli. “Dove si va?” Decidemmo di farla più lunga la gitarella e di arrivare sino al Trullo. Nascondendoci ognuno per proprio conto, sfilammo alla chetichella davanti alla Fiat, che tuttora sta accanto alla scuola. Ci riunimmo subito a destra del passaggio a livello difronte, percorremmo tutta la via Imperatore Traiano fino al Canalone. E appena superato il ristorante Transatlantico, ci avviammo su quella che allora si chiamava via Vecchia di Mola, che alla fine si univa ala statale 16 nei pressi del Camping San Giorgio. A metà tragitto circa c’è il Trullo. Le gambe buone ci fecero raggiungere la meta in mezzora, con diverse pause ad ammirare il mare blu a tavola, con chiazze di verde chiaro e acqua marina nelle zone sabbiose. Il Lido era chiuso, ma noi saltammo il muretto e ci aggirammo come faine in cerca di una insenatura per calarci in mare. Ma la spiaggia del Trullo è tutta scogliera, e non conoscendo bene il fondo, abbastanza scuro per alghe verdoni e scogli scuri, tolti gli indumenti, preferimmo bagnarci sulla scaletta, e distenderci al sole sulla piattaforma di cemento. Ben asciutti e rivestiti, dopo un’ora uscimmo, non saltando nuovamente il muretto di cinta verso la strada, ma da un varco che scoprimmo nella recinzione. Nel verde abbondante che allora circondava il Trullo, punteggiato lungo il perimetro anche da alcune piante di fichi d’india, diventammo cacciatori di lucertole. E mentre armati di pietra aguzzavamo gli occhi in cerca di lucertole fra l’erba e il muretto a secco, sentimmo un tum e Iacobellis gridò “Un gabbiano ha urtato contro il Trullo ed è caduto in quel punto ai piedi del muro circolare”. Accorremmo in sei e ci bloccammo quando vedemmo muoversi nell’erba due ali pennute. Solo Gentilli, che dai movimenti e pigolii capimmo fosse il più esperto, si avvicinò, lo accarezzò là dove era caduto, e con tanta dolcezza lo prese in mano. Tremava il piccolo volatile, ma il suo colore non era quello dei gabbiani. “È una Tortorella”, disse Gentilli calmo, più per tranquillizzare la piccola; e con carezze continue fermò il tremore dello stordito pennuto, rasserenando anche noi. Con le mie abitudini primitive acquisite dai compagni d’infanzia quando s’andava armati di fionde a caccia di uccelli nelle campagne di Japigia, dissi “Buona per farci un brodo”. “Ma sei matto, Petino”, ribatté Gentilli, che dopo manipolazioni amorevoli e carezze continue riuscì a far drizzare la Tortorella sulle zampette arpionate al suo indice. E incoraggiata spiccò il volo liberatorio verso il cielo azzurro come il mare, scomparendo mano a mano sino a divenire un puntolino su su sempre più in alto, verso la luce più intensa. Dopo la buona azione, ce ne tornammo più contenti verso casa. Io sempre convinto che un bel brodetto sarebbe stato meglio. Ho continuato a frequentare il Trullo; a diciannove anni per mimetizzarmi fra le altre auto con la mia 500 e la ragazza dentro; a venticinque più civilizzato, invitato da don Ciccio Cianciola che proprio difronte aveva una splendida villa; e come tesserato del Lido mi invitò a frequentarlo per tre estati consecutive. Anni ancora, e sempre Don Ciccio mi incaricò di valutargli la villa che mise in vendita. Poi più nulla. Solo passaggi veloci con l’auto, giusto il tempo di vedermelo scorrere davanti con la sua palla in cima, per poi riprenderlo con lo specchietto retrovisore…


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